Monsieur Pourboire
di bulander
“Signor Pourboire, ormai abbiamo la certezza. Le nostre ricerche hanno dimostrato che lei è discendente diretto di Absinthe Léon Pourboire, secondo ufficiale della nave che ha trasportato la statua della libertà a New York”.
Pamphile Pourboire era un uomo modesto e senza ambizioni, il suo lavoro di funzionario addetto alla notifica delle multe per sosta vietata del Comune di Besançon sembrava appagarlo completamente. Quella rivelazione provocò in lui dapprima un senso di smarrimento, poi cominciò a crescere nel suo animo un senso di orgoglio e di fierezza che ben presto si sarebbe mutato in disprezzo per tutti gli esseri umani, tranne coloro che potevano vantare delle ascendenze illustri. Cambiò modo di vestire, di camminare, di parlare. Procedeva a passi lenti con il petto in fuori e amava coprirsi il capo con una bombetta, come aveva visto fare, nelle foto del primo Novecento, le persone di riguardo. Quando iniziava una conversazione con una persona, nei salotti che aveva iniziato a frequentare, passava rapidamente dalle frasi di circostanza a un interrogatorio serrato sulle ascendenze dei suoi interlocutori, che ben presto trovavano una scusa per toglierselo dalle scatole. Lui ci rimaneva sempre male ma si consolava in fretta pensando all’antenato che aveva compiuto una missione storica mentre gli altri erano comuni mortali, persone insignificanti, privi di passato.
Un giorno volle scrivere una lettera al Presidente degli Stato Uniti ma il suo inglese era incerto e ci rinunciò. Quell’idea però gli fece venire in mente un’altra: imbarcarsi su una nave da crociera che toccava il porto di New York per passare davanti alla statua e vederla una volta almeno nella vita. Non fu facile trovare la combinazione, dovette prendere un aereo per le Bahamas e lì salire su una nave da crociera che faceva i Caraibi e alla fine scalo a New York.
La ragazza che stava sempre sul bordo della piscina immersa nella lettura de ll padrino – un romanzo che era stato un best seller un settantina di anni prima – lo attirava, lo incuriosiva. Non era bella ma il suo volto assorto gli ispirava qualcosa. Finalmente riuscì ad attaccare discorso, parlarono del più e del meno piacevolmente, alla fine lei disse che andava a farsi una doccia in cabina e prese commiato.
“Oh si figuri, l’ho trattenuta fin troppo, forse ci rincontreremo, mi chiamo Absinthe Léon, Absinthe Léon Pourboire”
“Ah, piacere, io sono Elisabeth Capone”
“Eli…, Eli…scusi” – un sussulto al cuore lo aveva fatto impallidire e gli strozzava la gola – “lei per caso è…”
La ragazza scoppiò in un’allegra risata
“Sì, sì, Al era un mio antenato. Almeno così mi aveva detto mio padre che era molto fiero di questo. Ma adesso debbo andare, mi scusi.”
Pourboire rimase come impietrito. Il destino aveva voluto che pochi giorni prima di vedere la Statua della Libertà lui avrebbe incontrato la donna della sua vita. La predestinata. Una che aveva un antenato illustre, la prima che incontrava. Si precipitò dal commissario di bordo per chiedere quale fosse il numero di cabina di Miss Elisabeth Capone.
“È la diciotto settantacinque, signore, sul ponte numero quattro.”
Pourboire scrisse il numero su un foglietto per non dimenticarlo e si diresse verso il fumoir. Tra i suoi vezzi c’era anche quello di fumare sigarette, una moda che era scomparsa da decenni ma lui aveva notato nelle vecchie fotografie che quando portavano la bombetta avevano anche la sigaretta all’angolo della bocca. D’improvviso, mentre scendeva la scala, un secondo colpo al cuore gli diede quasi il capogiro.
“Diciotto settantacinque! 1875! Ma è l’anno del trasporto della statua a New York!”. A stento si trattenne dal precipitarsi verso la cabina della ragazza, preferì andare al bar e prendere un whisky per rimettersi in carreggiata. Al banco stava appoggiato di schiena un uomo sulla cinquantina, brizzolato, dallo sguardo ironico, che osservava divertito il viavai. Fu lui ad attaccare discorso.
“Secondo lei, perché la gente va in crociera? Glielo dico io: per farsi vedere, la stessa ragione per cui si va a un party, si va allo struscio o si va a teatro. Quello che va in scena non conta. Che l’orchestra suoni Beethoven o Gershwin fa lo stesso. L’importante è farsi vedere nell’intervallo, passeggiare nella hall. Vede per esempio quella vecchia con il bastone e il kimono? Beh, quella è discendente del pilota che ha sganciato la bomba atomica su Hiroshima, si veste alla giapponese per espiare, dicono. E sapesse che arie si dà, come se fosse un bel precedente avere per parente uno che ha ammazzato…non mi ricordo quanti ma erano tanti. E allora io cosa dovrei dire, scusi?”
A Pourboire tremavano tanto le mani che il ghiaccio, urtando sulle pareti interne del bicchiere di whisky che teneva in mano, faceva tin tin tin. L’informazione sulla vecchia in kimono gli aveva scombinato tutte le idee che s’era fatto sulla predestinazione. Ma che, su quella nave tutti avevano un antenato illustre? Pagò in fretta il suo whisky, chiese scusa al tipo appoggiato di schiena al bancone e fece per andarsene…fatti pochi passi qualcosa lo trattenne.
Che espressione aveva usato il tipo… “e io cosa dovrei dire, allora?”. Pourboire si arrestò di colpo, si girò lentamente e chiese con voce diventata improvvisamente imperiosa. “Lei per caso ha qualche antenato illustre? Quando ha detto, riferendosi alla vecchia che si dà tante arie, ‘io cosa dovrei dire’, che cosa intendeva?”
Serafico, imperturbabile, il tipo allungò un braccio tendendogli la mano: “Permette? Joshua Bartholdi, un mio avo ha costruito la statua della libertà, quella che c’è nella baia di New York, su un’isoletta, proprio quella”.
Pourboire non era pesante, non era grosso, ma il tonfo che fece il suo corpo inerte nel cadere sul pavimento del bar si sentì fino al ponte numero sei.